mercoledì 9 settembre 2009

1866. Quel Brutto Pasticcio di Lissa

Nel 1860 il cuore dell’Europa era l’Impero Austro Ungarico, a contrapporvisi la Francia di Napoleone III. L’Inghilterra, presa dal suo impero, era lontana dalle vicende del continente.


In questo quadro le novità erano due: l’unione doganale tra gli stati tedeschi, lo Zollverein, e l’Italia.

I territori della Germania erano una galassia di stati, il maggiore dei quali era la Prussia. Gli stati germanici e l’Impero Austro Ungarico facevano parte della Confederazione Germanica. All’interno della Confederazione gli equilibri scricchiolavano nel contrasto tra il potere politico di carattere dinastico ed il potere economico in ascesa.

La Prussia, nel 1818, aveva abolito i dazi e ciò aveva favorito la sua economia. Successivamente lo Zollverein tra gli stati germanici favorì il loro slancio economico a discapito dell’Austria.

La penisola italiana era un’altra area ove erano vari stati. In questa realtà la spinta per l’unità nazionale si era sposata con le ambizioni dei Savoia. Nel 1860 gran parte dei territori italiani erano controllati dai Savoia.

Nel 1861 si costituiva il Regno d’Italia. Rispetto all’Italia di oggi mancava il Lazio, possedimento papale, e le province venete, friulane e trentine, controllate dagli Austriaci.

La costituzione dell’Italia non fu riconosciuta dallo Stato Pontificio, dall’Austria e dalla Spagna.

Cavour, artefice della politica dei Savoia, prima di morire, aveva indicato come via per proseguire verso l’unità nazionale l’alleanza con la Prussia in funzione antiaustriaca.

Nel 1864 il Presidente del Consiglio, generale La Marmora, iniziò le trattative con la Prussia di Bismarck. Quest’ultimo era determinato a indebolire il prestigio dell’Austria a beneficio della Germania.

L’8 aprile 1866, a Berlino, si firmava una alleanza tra Italia e Prussia. L’alleanza spirava in soli tre mesi se, nel frattempo, la Prussia non dichiarava guerra all’Austria, nel qual caso l’Italia si impegnava a seguirla.

Il 17 giugno la Prussia dichiarava guerra all’Austria e il 20 giugno l’Italia faceva altrettanto.

La Marmora divenne Capo di Stato Maggiore dell’Esercito agli ordini del Re Vittorio Emanuele II.

Tra gli alti gradi dell’esercito insorsero subito dispute. Durante la guerra del 1859, che aveva tolto la Lombardia all’Austria, capo di SM era stato il Generale Della Rocca, mentre nel 1860 era stato il generale Cialdini a riunire le forze dei Savoia a quelle di Garibaldi. La Marmora invece vantava successi in Crimea nel ‘54.

Nessun generale voleva dipendere da altri. Il re scelse una via mediana: La Marmora sarebbe stato capo di SM e comandante dell’armata del Mincio, Cialdini avrebbe comandato l’armata del Po, Della Rocca avrebbe avuto il comando della riserva. A Garibaldi fu affidato il compito di combattere in Trentino.

All’apparenza più lineari le cose per la marina. L’unico ufficiale con il grado di ammiraglio in carica era il conte Carlo Pellion di Persano.

Persano, allora sessantenne, aveva fatto carriera nella marina sarda. Nel 1825 aveva partecipato ad un’incursione contro Tripoli, poi, nel ‘41, al comando del brigantino Eridano, aveva condotto la prima circumnavigazione del globo di una nave sarda. Nel ‘48 Persano, al comando del Daino, aveva operato in Adriatico bombardando il forte di Carole.

Nel ‘60 a Persano, ormai contrammiraglio, Cavour e D’Azeglio affidarono una divisione di sei fregate. La divisione Persano trasportò reali e politici da Genova a Livorno durante il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Successivamente Persano fornì un supporto discreto alla spedizione dei Mille. Le navi di Persano furono infine decisive nelle operazioni per la conquista di Ancona e Gaeta. Nell’aprile del ‘61 Persano, eletto deputato, lasciò la squadra per il parlamento.

Come parlamentare e poi come ministro per la marina, Persano presentò il primo piano organico per la marina e mise in produzione molte corazzate tra cui l’Affondatore, allora giudicata nave rivoluzionaria. Nel dicembre del ‘62 Persano fu promosso ammiraglio.

Nell’aprile del 1866 la struttura della Regia Marina si articolava su tre dipartimenti marittimi, varie unità in disarmo presso i dipartimenti, alcuni bastimenti in produzione all’estero ed una squadra di “evoluzione” agli ordini del contrammiraglio Vacca.

La squadra di “evoluzione” disponeva di tre corazzate: S.Martino, Principe di Carignano e Terribile; il vascello Re Galantuomo, due fregate ed una corvetta ad elica e tre cannoniere.

Il 3 maggio Persano fu nominato comandante della squadra italiana e il 16 maggio egli raggiunse Taranto ove erano la gran parte delle unità pronte per l’impiego.

Negli anni tra il ’60 ed il ‘66 la Regia Marina aveva investito molto in “tecnologia”. In quegli anni dopo l’introduzione del vapore si era passati dalla propulsione a ruote alle eliche ed infine erano arrivate le corazzate. Nel ’66 in Italia numerose erano le corazzate in linea o costruzione.

Molti erano però i problemi. Le corazzate maggiori, le Re d’Italia, erano state costruite a New York ai tempi della guerra civile americana, quando la stessa US Navy soffriva di carenza nei materiali. Le due Terribile erano nate in Francia come batterie galleggianti e poi erano state modificate come navi d’altura; piccole e lente le due Palestro. Valide le quattro Maria Pia di produzione francese. L’unica corazzata prodotta in Italia, la Principe di Carignano, era nata come nave in legno ed era stata riprogettata come corazzata sugli scali, alla resa dei conti essa si rivelò mediocre.

Alle carenze tecniche la flotta italiana univa la scarsa coesione del personale che proveniva da cinque marine diverse. Tra equipaggi e ufficiali pesavano gelosie, rancori e campanilismi. Fenomeni per certi versi comprensibili in una nazione la cui espansione era partita nel 1859.

Giunto a Taranto Persano emise un ordine del giorno che suddivideva l’”Armata navale di operazioni” in: squadra da “battaglia” al suo comando, squadra “sussidiaria” comandata dal viceammiraglio Albini e squadra “d’assedio” agli ordini del contrammiraglio Vacca.

Nave ammiraglia era la fregata corazzata di 1.a Classe Re d’Italia. Persano, però, chiarì che non appena disponibile avrebbe trasferito il suo comando sull’ariete Affondatore.

L’arrivo dell’ammiraglio non fu appezzato: Vacca, comandante la squadra di evoluzione, si sentì esautorato e Albini, che aveva avuto dissapori con Persano durante l’assedio di Ancona, non nascose il suo disappunto. L’accoglienza del comandante fu tiepida, molte voci sostenevano che fosse poco coraggioso. Si sparlò anche della sua nomina ad ammiraglio che per taluni era dovuta ad appoggi politici.

Persano dal canto suo si tuffò nel lavoro e non convocò neanche i suoi ufficiali.

L’”Armata navale” era ancora lontana dall’essere riunita. A Taranto erano in rada solo le corazzate Re d’Italia, Principe di Carignano, San Martino, Maria Pia, la cannoniera corazzata Palestro, la fregata Gaeta e l’avviso Messaggero. Ad Ancona si trovavano le corvette corazzate Terribile e Formidabile, la corvetta Fieramosca e la cannoniera Confienza. Gli equipaggi erano per lo più raccogliticci e non abituati alla manovra.

Non c’era da stare allegri neanche con il carbone, a Taranto ve ne erano solo 3.200 tonnellate. Per quanto sollecitato Persano rifiutò di iniziare esercitazioni collettive, in parte perché gli equipaggi erano grezzi ma anche perché 12 ore di navigazione della squadra avrebbero consumato 900 tonnellate di carbone.

Il ministro della marina, generale Angioletti, e il Vacca insistettero per far muovere la flotta verso Ancona ove erano 27.000 tonnellate di carbone. Ma Persano, irritando Vacca, preferì restare a Taranto.

Persano non si sentiva tranquillo con le sue navi in Adriatico. Le unità disponibili erano poche, gli equipaggi non amalgamati, mancavano ufficiali, cannonieri e personale di macchina. Inoltre in Adriatico non esistevano bacini di carenaggio.

Per far fronte alla carenza di ufficiali si rimisero a ruolo ufficiali dimessi e si promossero d’ufficio a guardiamarina 87 studenti dell’accademia. La carenza dei cannonieri era poi gravissima, ne mancavano centinaia, sulla sola Maria Adelaide dei 64 previsti ne erano presenti 9!

Molto preoccupante infine la carenza del personale di macchina e dei meccanici. Sulle corazzate più moderne erano disponibili solo i tecnici dei cantieri francesi.

Tra il ministro e Persano i rapporti divennero tesi. Le sollecitazioni dell’ammiraglio irritarono l’Angioletti che finì con il sottolineare che: “… l’esercito stà peggio…”.

Sulla Re d’Italia era allora imbarcato come osservatore l’onorevole Carlo Boggio, questi in una lettera scrisse: “Allorché Persano si recò a Taranto, ad assumervi il comando della flotta, la trovò in tali condizioni, che il suo primo pensiero fu quello di rinunciare immediatamente all’ufficio….”

Diversa era la condizione della flotta austriaca. Riorganizzata nel 1849 aveva personale che, pur essendo istriano, dalmata e veneto era piuttosto coeso. Grande cura era stata data alla formazione dei cannonieri e il personale tecnico proveniva dalla marina mercantile. Le navi poi, pur se meno numerose di quelle italiane, erano tutte progettate e prodotte da cantieri austriaci e tecnicamente erano efficienti.

Infine l’Austria aveva nel contrammiraglio von Tegetthoff un comandante di prestigio. L’ufficiale, amato da equipaggi e collaboratori, si era fatto una sicura fama nel 1864 quando, al comando di una squadra nella guerra contro la Danimarca, aveva costretto alla ritirata gli avversari.

Qualche problema lo aveva anche Tegetthoff, le sue due maggiori corazzate non avevano potuto imbarcare i pezzi rigati Krupp che erano stati requisiti dai tedeschi.

Il 20 luglio l’Italia dichiarò guerra all’Austria. Il 21 l’”Armata italiana” uscì da Taranto diretta ad Ancona.

Il 24 giugno muoveva anche l’esercito italiano. Parte dell’armata del Mincio incontrò nei pressi di Custoza l’armata austriaca del sud. La Marmora, che riteneva gli austriaci ancora sull’Adige, fu sorpreso. Di fronte alla superiorità numerica austriaca gli italiani resistettero, persero 3.280 uomini ma inflissero al nemico 5.100 morti. La Marmora, però, fece arretrare la linea italiana dietro il Mincio e la vittoria fu degli austriaci.

La sera del 25 giugno la flotta di Persano giungeva ad Ancona. La fregata corazzata Ancona attraccò con avarie al motore mentre sulle corazzate Re d’Italia e Re del Portogallo la presenza nei depositi di carbone vecchio dava origine a fenomeni di autocombustione.

Persano riprese a bombardare il ministero di richieste, sollecitava l’invio delle navi mancanti, di cannoni rigati, di ufficiali, tecnici, cannonieri e macchinisti. Al ministero della marina Depretis aveva sostituito Angioletti. Depretis garantì a Persano che si erano scovati alcuni macchinisti e che altri 18 erano stati arruolati in Francia.

Alle 4 del 27 giugno l’avviso Esploratore, in crociera di vigilanza a nord di Ancona, avvistò una dozzina di navi nemiche.

Tegetthoff aveva lasciato la base di Fasana, nei pressi di Pola, la sera del 26 per una “ricognizione in forze” verso Ancona. L’ammiraglio aveva con se sei corazzate, una fregata, quattro cannoniere e due avvisi.

Alle 5 dal porto di Ancona si avvistò l’Esploratore in avvicinamento con a riva il segnale “Nemico dirige su Ancona”.

La flotta italiana era nel pieno del rifornimento. Un incendio era in atto sulla Re del Portogallo e per circoscrivere le fiamme il suo comandante aveva fatto spostare il carbone nei depositi di destra causando lo sbandamento della nave.

La corazzata Ancona aveva il motore smontato, la Principe di Carignano e la Terribile si stavano scambiando i cannoni ed erano prive di metà del loro armamento. Problemi erano anche sulla Varese e la Palestro ove i macchinisti della casa di costruzione volevano sbarcare.

Persano riuscì a superare il caos ed in tre ore la flotta era in mare. Tegetthoff guardò schierarsi 11 navi corazzate italiane, 4 pirofregate, una pirocorvetta, 2 corvette a ruota, 3 cannoniere e 2 avvisi. Alle 8 l’ammiraglio austriaco si disimpegnò e fece rotta per Fasana. Persano tornò ad Ancona.

Il mancato inseguimento della flotta austriaca suscitò polemiche, ma Persano non vi badò, e riprese a sollecitare l’invio di cannonieri, tecnici, ufficiali e navi. Il ministro Depretis non rimproverò la prudenza di Persano e si adoperò per sollecitare il mancante. Alcune perplessità sul mancato inseguimento le espresse La Marmora ma fu lo stesso Depretis a sottolineare le carenze nella flotta, ricordando che: “…per riparare un’avaria, saremo costretti di condurre le navi a Napoli, Genova o a Tolone”.

Il 3 luglio a Sodowa i prussiani sbaragliavano gli austriaci. L’imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe si rivolse a Napoleone III proponendogli la cessione del Veneto in cambio di un armistizio con l’Italia. La proposta era interessante per l’Italia ma l’opportunità la si doveva cogliere salvando “l’onore delle armi”. Non riuscendo a riprendere l’offensiva con l’esercito si sollecitò Persano.

I solleciti all’ammiraglio furono reiterati ma Persano sottolineava l’importanza di attendere almeno l’arrivo dell’Affondatore. Depretis, con la nuova situazione internazionale, si spazientì. L’8 luglio, di mala voglia, Persano mosse l’Armata da Ancona.

A quanto dichiarò Persano nella riunione che, prima di partire, ebbe con Vacca ed Albini, la crociera aveva lo scopo di stanare Tegetthoff dalla sua base. La flotta mosse verso nord alcune ore, poi verso mezzanotte virò e tornò al largo di Ancona, poi riprese a navigare verso nord e quindi tornò a sud. Persano mantenendo la squadra ben lontana delle coste, si limitò a salire e scendere lungo l’Adriatico. Il 13 luglio egli rientrò in Ancona.

La strana crociera in Adriatico gelò i rapporti tra l’ammiraglio e Depretis. Il ministro, furibondo, piombò ad Ancona, parlò con l’onorevole Boggio, Vacca, Albini ed infine con Persano. Stando a una lettera di Boggio, Depretis, pensò seriamente di destituire Persano.

L’Affondatore il 15 luglio giungeva a Napoli. Quel giorno, probabilmente su suggerimento del Vacca, il ministro propose all’ammiraglio una azione contro l’isola di Lissa. La conquista dell’isola, che ministro e Vacca consideravano facile, avrebbe consentito all’Italia di negoziare con l’Austria da un punto di favore.

La proposta non entusiasmò Persano, egli aveva solo 600 fanti di marina. L’ammiraglio cercò di tirare per le lunghe sperando, forse, nella fine della guerra. Il 17 luglio egli, di malavoglia, mosse la flotta verso l’arcipelago di Lissa.

Persano era certamente poco convinto di quanto faceva; l’Affondatore e altre navi ancora mancavano e le condizioni generali dell’armata erano migliorate di poco; mancavano ancora 400 cannonieri ed alcune unità non ne avevano a bordo. Disastrosa era la situazione dei motoristi ed infine nel partire ci si accorse che non erano disponibili mappe di Lissa.

Lissa e il suo piccolo arcipelago sono le isole più esterne della Dalmazia. L’isola di Lissa è accessibile da tre baie, S. Giorgio, Comisa e Manego. A difendere l’accesso delle baie erano vari forti con una settantina di cannoni. Il presidio contava 2.000 tra fanti di marina, artiglieri e genieri e disponeva di 93 cannoni da 18 e 16 libre.

Su Lissa gli italiani sapevano poco. Era noto che tra l’isola e la terraferma le comunicazioni erano garantite da un cavo telegrafico sottomarino attestato, forse, sull’isola di Spalmadore. Per fare una ricognizione dell’isola Persano inviò l’avviso Messaggero.

Issata bandiera britannica il Messaggero esplorò Lissa. La bandiera non ingannò il colonnello Urs, comandante la guarnigione austriaca dell’isola, che telegrafò l’allarme a Vienna.

La sera del 17 il Messaggero si ricongiunse con l’Armata ed in una riunione l’ammiraglio stabilì il piano d’azione. La squadra fu divisa in quattro gruppi: una flottiglia di cannoniere al comando del capitano di fregata Sandri avrebbe puntato su Spalmadore per interrompere le comunicazioni, il Vacca con tre corazzate avrebbe bombardato le batterie di Baia Comisa, mentre le navi in legno di Albini avrebbero puntato su Porto Manego per sbarcarvi le truppe. Persano con il grosso delle corazzate avrebbe attaccato Porto S.Giorgio.

La flottiglia Sandri raggiunse Spalmadore alle 10 del 18 luglio. A quell’ora da Lissa era già state interpretate le intenzioni delle navi italiane e inviati ulteriori allarmi. Sandri ebbe difficoltà a trovare il cavo telegrafico e solo alle 18 riuscì a tagliarlo. Il taglio però non fu risolutivo poiché Urs continuò a comunicare con Zara.

Alle 11 del 18 il Vacca con le sue navi era a Baia Comisa. La baia era difesa da due batterie, la batteria Magnaremi a 170 metri di quota e la Perlic a 253 metri. Le corazzate Carignano e Castelfidardo iniziarono a battere la Magnaremi e la Ancona la Perlic. L’Ancona rinunciò presto al fuoco sostenendo che la batteria era irraggiungibile dai suoi cannoni. Carignano e Castelfidardo spararono invece sino alle 14 sulla Perlic ma con pochi risultati. Il Vacca reputò inutile proseguire nella missione.

Albini, giunto a Porto Manego, provò a bombardare la batteria S. Vito che la proteggeva. La batteria, posta a 170 metri, disponeva di due cannoni rigati da 12 e quattro da 24. Albini provò a far colpire la S. Vito da una bordata di 14 colpi della Maria Adelaide e con un colpo dal pezzo di prora della Vittorio Emanuele. Essendo le navi troppo a ridosso della costa i colpi andarono a vuoto. Albini sospese l’operazione e senza neanche provare a sbarcare gli uomini che aveva con se si allontanò.

Più vigoroso fu l’attacco che Persano condusse contro Porto S. Giorgio. La baia di Porto S. Giorgio era difesa da 8 tra forti e batterie posti tra i 30 e i 190 m di quota. In tutto vi erano 49 pezzi. L’attacco iniziò alle 13 e 30. Alle 18 solo 2 batterie con 12 cannoni davano ancora segni di vita.

Persano era soddisfatto dell’azione contro Porto S.Giorgio ma deluso da Albini e Vacca. Ai due subordinati egli fece duri rimproveri scritti che peggiorarono i già tesi rapporti.

Nella tarda mattinata del 19 luglio l’Armata fu raggiunta dalle ultime navi mancanti: l’Affondatore, la corvetta a ruote Governolo e le fregate Principe Umberto e Carlo Alberto. Con le navi arrivarono altri fanti che portavano la forza da sbarco a 2.500 uomini.

Nel pomeriggio del 19 riprese l’attacco a Porto S. Giorgio. L’operazione fu affidata al Vacca. La Re del Portogallo restò fuori dalla baia per battere la torre Wellington, mentre alla Formidabile venne affidato il compito di far tacere la batteria della Madonna che dominava la baia sul fondo del golfo.

La Formidabile entrò nel golfo e iniziò a sparare bordate sulla batteria austriaca da una distanza di 300 metri. Il comandante della nave italiana, Saint Bon, tenendo ferma la sua nave davanti alla batteria, fece iniziare il fuoco alle 16. Gli 8 pezzi da 160 e 2 da 200 mm della fiancata destra della nave non diedero tregua agli austriaci mentre quelli rispondevano rabbiosi al fuoco. Per sostenere l’azione intervenne il Vacca con la Carignano, Castelfidardo e Ancona. Le navi in linea di fila sfilarono davanti alla batteria e spararono le loro bordate. Essendo però poco lo spazio nella baia Vacca si ritirò lasciando la Formidabile a cavarsela da sola. Saint Bon continuò a sparare sino alle 19, poi si ritirò. La valorosa azione italiana ebbe però scarsi effetti sulla batteria austriaca che restò in efficienza. Pur restando efficiente la Formidabile ebbe vari danni.

Mentre la Formidabile sosteneva il suo scontro, Albini era incaricato di sbarcare le truppe in una baia di poco discosta, Porto Carober. Solo alle 20 Albini mandò le scialuppe da sbarco verso terra. Avvicinandosi le scialuppe gli austriaci iniziarono a sparare. Alle prime fucilate Albini fece sospendere l’operazione e reimbarcò gli uomini.

Nei giorni di combattimento attorno a Lissa la guarnigione austriaca aveva perso 33 uomini ed avuto 74 feriti. Gravi i danni alle fortificazioni, a Porto san Giorgio restava efficiente solo la batteria della Madonna con 8 cannoni.

La flotta italiana aveva avuto 19 morti, 122 feriti e danni alla Formidabile. Nella flotta cominciava però a scarseggiare il carbone. A tarda sera Vacca propose a Persano di rientrare ad Ancona per ricoverare i feriti, fare rifornimento e poi riprendere l’azione.

Quella sera però raggiunse la squadra il piroscafo Piemonte con altri 500 fanti da sbarco, ciò convinse Persano ad insistere con Lissa. Il piano prevedeva una azione della Varese e Terribile su Baia Comisa, un bombardamento alla batteria della Madonna da parte di Palestro, Re d’Italia, Re del Portogallo e Affondatore ed infine lo sbarco che Albini avrebbe condotto a Porto Carober.

Nella prima mattina del 20 il tempo peggiorò ma alle 8 l’azione stava per iniziare quando veloce si vide arrivare l’Esploratore con il segnale: “Bastimenti sospetti in vista”.

I primi telegrammi di allarme erano arrivati a Tegetthoff già il 17, ma questi, temendo una manovra diversiva italiana, attese conferma. La mattina del 19 da Zara fu inviato un dispaccio nel quale si precisava che almeno 22 navi italiane stavano bombardando Lissa. La nota convinse l’ammiraglio austriaco ed alle 13 e 30 prese il mare con 27 unità.

La flotta austriaca navigò disposta per successione di cunei. Ogni cuneo era una divisione. In testa il cuneo con le sette corazzate della 1.a divisione precedute dall’avviso Stadium, poi la 2.a divisione con le sette maggiori unità di legno precedute dall’avviso Elizabeth, quindi la 3.a divisione che raggruppava le undici unità minori.

Il tempo peggiorava e solo verso le 7 gli austriaci avvistarono gli italiani. L’avviso Esploratore scorse gli austriaci già alle cinque e mezza e si precipitò a dare l’allarme.

Alle 9 la situazione meteorologica migliorò ed alle 10 Tegetthoff vide la flotta italiana che si stava riordinando a nord di Lissa.

Alle 10 e 35 l’ammiraglio austriaco alzò il segnale “Le corazzate attacchino il nemico e lo affondino”. Nella flotta austriaca non mancava l’entusiasmo ma erano presenti anche timori, la flotta italiana era più numerosa: 12 corazzate e 19 unità di legno con 641 cannoni. Gli austriaci avevano solo 7 corazzate e 20 unità di legno con 532 cannoni.

Mentre gli austriaci si avvicinavano le navi italiane erano a nord dell’isola. Le corazzate Varese e Terribile erano davanti a baia Comisa. La flotta italiana era provata da giorni di scontri ed aveva poco combustibile.

All’arrivo degli austriaci Persano mandò Messaggero e Guiscardo ad ordinare a Varese e Terribile di riunirsi alla squadra, quindi ordinò alle corazzate di disporsi in linea di fila. All’Albini ordinò di sospendere ogni azione di supporto allo sbarco e di disporre le sue navi in una seconda linea di fila parallela alla prima.

Albini non fece come ordinato e si attardò a recuperare le squadre da sbarco. La Varese lasciò la baia di Comisa mentre la Terribile per ragioni mai chiarite non si riunì alla linea delle corazzate ma si affiancò alle navi di Albini.

Non si riunì alle altre corazzate neanche la Formidabile che, provata dallo scontro del giorno prima aveva vari danni. Il comandante Saint Bon chiese a Persano l’autorizzazione a rientrare in Ancona. Persano non la concesse, ma la Formidabile non partecipò alle vicende successive.

A causa delle defezioni Persano disponeva solo di 10 corazzate anziché 12. Inoltre delle 10 corazzate solo 9 erano riunite, la Varese, piuttosto lenta, era ancora lontana.

Tegetthoff continuava la sua navigazione puntando su Porto S. Giorgio. Persano, alle 10, fece accostare a dritta le corazzate assumendo una rotta per nord nord est ed andando a frapporsi tra l’isola e la flotta avversaria. La formazione italiana durante la manovra era costituita da una linea di fila di tre divisioni, in testa la divisione Vacca con Principe di Carignano, Castelfidardo e Ancona, quindi la divisione Faa di Bruno con Re d’Italia, Palestro e San Martino, più arretrata la divisione Riboty con Re del Portogallo, Maria Pia e poi, ancora lontana, la Varese. Fuori formazione a fianco della Re d’Italia era l’Affondatore. Persano alzava la sua bandiera sulla Re d’Italia.

Durante l’esecuzione della manovra Persano decise di trasferirsi sull’Affondatore. L’ammiraglio aveva più volte espresso questa intenzione, ma certamente il momento del trasbordo fu infelice in quanto distanziò ulteriormente la divisione Vacca.

Alle 10 e 45 la Principe di Carignano passò di prora alla prima divisione nemica da una distanza di 1.500 metri. Il Vacca ordinò il fuoco e la sua divisione iniziò a sparare. Le corazzate austriache risposero al fuoco con i pezzi prodieri. Tegetthoff dispose la sua divisione in linea di fila e si precipitò nell’ampio varco tra la divisione Vacca e la divisione Faa di Bruno.

Per evitare di investire le unità nemiche, Re d’Italia e Palestro dovettero accostare un poco verso nord. La manovra delle flotte isolava l’ammiraglio austriaco dal resto delle sua unità in legno, quindi un Tegetthoff preoccupato manovrò la sua divisione per riaccostarla alle altre navi. Il momento critico austriaco non fu colto dagli italiani.

Il successivo arrivo in velocità della seconda divisione austriaca che puntava sulla coda della nostra linea indusse Riboty ad accostare a sinistra portandolo ad allontanarsi dalle navi di Faa di Bruno. La 2.a divisione austriaca era guidata dal vascello Kaiser dal commodoro Petz.

Dalla situazione nacque un primo confuso parapiglia tra le navi italiane di Faa di Bruno e quelle di Petz. Persano sollecitò e sperò inutilmente un intervento delle unità dell’Albini, poi diresse l’Affondatore verso la Kaiser, la attaccò con i suoi due pezzi da 254 mm in torretta girevole e quindi tentò di speronarla.

Mentre il fumo dei cannoni e quello dei fumaioli coprivano di nebbia fuligginosa la battaglia anche la Re del Portogallo si avventò sulla Kaiser, le due unità tentarono di speronarsi, poi la Re del Portogallo urtò pesantemente la fiancata della nave austriaca e vi scaricò sopra le sue bordate. La nave del commodoro Petz era a brandelli; con la prora distrutta ed il trinchetto abbattuto la Kaiser lasciò la lotta puntando su Porto S. Giorgio.

Durante l’avvicinamento della Kaiser a Lissa né la squadra di Albini né la Formidabile provarono ad affrontarla, solo la Terribile sparò qualche colpo.

La divisione Vacca intanto, ormai lontana, stava compiendo un larghissimo giro a nord che la allontanava dalla battaglia. Per quanto sollecitate dal Persano le navi di Albini invece, forti di 398 cannoni, non intervenivano. Intanto la divisione Riboty e l’Affondatore cercavano di districarsi dalle navi austriache della 2.a e 3.a divisione. Tutte le unità di legno austriache, anche le minori, erano nella mischia.

Mentre si era sviluppata l’azione contro la Kaiser la divisione Faa di Bruno era rimasta isolata e su di essa piombò tutta la divisione delle corazzate austriaca. La Re d’Italia fu circondata da quattro corazzate ed una fregata austriaca. Gli austriaci, presumendo che sulla nave vi fosse Persano, vi si accanirono contro.

La Palestro provò a intervenire ma con la sua modesta velocità e il suo scarso armamento riuscì a fare poco. Giunse l’ammiraglia di Tegetthoff, la Erzherzog Ferdinand Max, che urtò la Palestro danneggiandola ed abbattendole l’albero di mezzana. Poi anche la Drache fu sulla Palestro sparandole varie bordate. Sulla nave italiana scoppiò un incendio furioso e la Palestro uscì dalla mischia.

In soccorso della Re d’Italia corse anche la San Martino ma non riuscì ad avvicinarsi. La nave di Faa di Bruno fu colpita ripetutamente. Un colpo mise fuori uso il timone, poi dai fumi della battaglia emerse l’ammiraglia austriaca che a tutta forza si avventò sulla nave italiana speronandola. Lo sperone della Ferdinand Max affondò nella fiancata della Re d’Italia e quando la nave austriaca arretrò la Re d’Italia sussultò, si capovolse e affondò. Erano le 11 e 30. Con il comandante Faa di Bruno e l’onorevole Boggio perì gran parte dell’equipaggio.

Persano cercò ancora di spingere l’Albini a entrare in battaglia ma inutilmente. Alle 12 ogni mischia era finita.

L’ammiraglio austriaco riunì la sua flotta e la fece muovere in direzione sud est. Persano si portò avanti con l’Affondatore coperto dei tanti colpi ricevuti ed ordinò ancora alle sue navi di muovere contro il nemico. Cominciò a seguirlo la Re del Portogallo ma poi vedendo che nessuna nave si muoveva anche lei si fermò e Persano fu solo. Vacca non fece cenno di ubbidire. Provarono a seguire il Persano anche due navi in legno, la fregata Principe Umberto e la Governolo, ma l’Albini le richiamò sparando un colpo di cannone, l’unico che egli sparò durante l’azione.

Sulla Palestro, intanto, continuava l’incendio. In suo soccorso arrivarono Governolo ed Indipendenza. Il comandante della Palestro, il capitano di fregata Cappellini, si disse certo di domare l’incendio, nessuno dell’equipaggio volle abbandonare la nave. Cappellini chiese alla Governolo di prendere a rimorchio la sua nave. Mentre ci si apprestava al lancio dei cavi di rimorchio la Palestro esplose, erano le 14 e30. Si salvarono solo 26 uomini.

Le flotte restarono a fronteggiarsi senza fare nulla per ore poi, nel tardo pomeriggio Tegetthoff fece rotta su Lissa e attraccò a Porto S.Giorgio.

La flotta italiana incrociò nell’area sin verso le 22 alla ricerca dei naufraghi della Re d’Italia. 159 uomini furono recuperati. Altri 18 superstiti avevano raggiunto Lissa ed erano stati fatti prigionieri.

Alle 22 tutte le navi italiane fecero rotta su Ancona. Tegetthoff si guardò bene dall’inseguire la flotta italiana. Come scriverà nel suo rapporto egli non lo fece perché: “…non avrei ottenuto risultato di sorta…mentre il nemico poteva trarre vantaggio dalla maggiore velocità e dalla maggiore potenza….”

La flotta italiana avrebbe ancora avuto i numeri per contrapporsi agli austriaci, ma l’atteggiamento di molti suoi alti ufficiali e la stanchezza e disillusione di tanti e del Persano la rendevano uno strumento vuoto.

Forse male interpretando un dispaccio di Persano, Depretis nel suo primo resoconto su Lissa non fece intendere che la flotta era stata sconfitta “…La flotta italiana restò padrona delle acque del combattimento…” scrisse. Un successivo comunicato ministeriale parlò addirittura di un vascello nemico e due navi a ruota affondate.

Quando l’Italia apprese la realtà dei fatti l’indignazione fu grande e Depretis scaricò ogni responsabilità su Persano. L’ammiraglio venne processato per codardia davanti al senato. L’accusa di codardia cadde ma all’ammiraglio fu riconosciuta l’imperizia e la disobbedienza. Persano fu condannato il 15 aprile del 1867. L’ex comandante dell’Armata italiana perse il grado e venne radiato dai ruoli.

Dei suoi riottosi collaboratori l’Albini venne sbarcato e collocato a riposo. Vacca dopo il rientro ad Ancona prese il posto di Persano. Dopo che il 24 luglio Italia e Austria stabilirono una tregua in attesa dei negoziati di pace, in un momento di difficoltà della trattativa, a Vacca fu anche ordinato di prepararsi ad affrontare Tegeffhoff per ”…vendicare le offese e i morti di Lissa..”. Poi vi fu l’armistizio e anche Vacca fu messo a riposo.

Il 6 agosto del ’66 un violento fortunale sorprendeva nella rada di Ancona l’Affondatore che a causa dei danni subiti in battaglia affondò. La nave fu poi recuperata e rimessa in linea.

Il 3 ottobre si faceva la pace tra Austria e Italia. Il Veneto, dopo un plebiscito si riuniva all’Italia.

L’episodio di Lissa fu a lungo ricordato come il primo scontro significativo tra navi corazzate. Per l’Italia fu un brutto pasticcio che per vari decenni pesò sulla politica e sul suo dispositivo militare.

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